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Claudio Sabelli Fioretti

Ero in Mali. In pulmino con altre nove persone. Percorrevamo grandi strade sterrate. Grandi probabilmente per far passare i camion. Sui bordi molte persone a piedi. Una interminabile teoria di “pedoni” che si spostavano da un luogo all'altro, come diceva la nonna di Zoppello, col “caval di San Martino”.

Poi ero in Italia. A Piedi da Lavarone a Vetralla con Giorgio Lauro. 600 chilometri lungo strade provinciali asfaltate. Sui bordi nessun pedone se non noi.

Oggi a piedi per spostarsi da un luogo all'altro non ci va più nessuno. Quelli che vanno a piedi hanno dovuto inventarsi il trekking, che sa però di montagna, di fatica, di avventura.

Zoppello, come me, non ha fatto trekking, ha fatto wandering. Ha girovagato. Qualcuno ha detto che camminare, mettere un piede davanti all'altro, molto spesso guardando le scarpe prima ancora del paesaggio, sia quasi filosofare. Io credo che Gigi, come me, abbia camminato sotto ipnosi, camminare per camminare, senza nessuna ragione anche quando pensava di averne. Provare. Provare prima di parlare.

WWW.SABELLIFIORETTI.IT

clsabelli@tin.it

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Articolo di Paolo Ghezzi sul giornale L'Adige

twitter: @pgh news ladige

dal giornale L'Adige del 29 aprile 2014

 

Avrebbe voluto essere - lo confessa da guascone, senza falsa modestia - la spalla di Flavio Faganello, con cui si trovava spesso in piazza del Duomo, a ciaceràr. Insomma, un nuovo Gorfer per il fotografo della montagna e delle solitudini. Vagheggiando quel sogno mancato, il giornalista dell’Adige Gigi Zoppello, classe 1959, un altro sogno comunque l’ha realizzato. Attraversare il Trentino «In lungo, in largo». Rigorosamente a piedi. Scoprendo un’altra storia e un’altra vita. Con dieci chili di meno da portarsi in giro. Non un’avventura estrema, ma il pellegrinaggio di un cinquantenne qualunque, deciso però a riscoprire un Trentino nascosto agli occhi di chi passa rombando, motorizzato. Tra marzo e aprile 2012. 285 km, 17,5 km di media giornaliera. 407mila passi. A tappe, non di filato. Mai usata l’auto. Rientri a Trento in treno o bus. D’accordo, il camminare è di moda, e i libri sul camminare anche. Ma ogni camminatore calpesta e vede cose diverse. E i «barstazione», e i ritratti del Che in luoghi improbabili, e le belle clienti forse ammiccanti al Nostro Eroe alle casse dei supermercatini di sperduta malinconica eppur viva periferia, quelli sono autentico zopstyle, così zopstyle che gli perdoni certe ingenuità e ne apprezzi invece la sincerità e la diligenza nell’annotazione. L’incipit è incisivo e spiega tutto: «Mi ero dimenticato del camminare. Non so perché. Per tanti anni della mia vita non ci ho più pensato»>. Poi riaffiora dalla memoria Angela, una nonna montanara cimbra, e il suo «caval de San Martin», e riaffiorano i ricordi di Zoppellino piccolino che attraversa a piedi la Bolzano operaia, «neorealista», dove è nato e ha trascorso i primi anni d’infanzia. L’uomo ha sempre camminato, per millenni. Solo da un secolo, o poco più, ha disimparato. Gigi dunque cammina a ritroso, e siccome sa scrivere, ci fa gustare le sue traversate del Trentino come un trekking himalayano. Perché gli occhi sono aperti, e scoprono. Anche un Trentino brutto, (post)industriale, le fabbriche inquinanti e gli svincoli del fondovalle dell’Adige. Sono forse le pagine più belle, quelle dedicate alle piccole grandi bruttezze del Trentino che non è tutto bello e verde ed «eco» come vorrebbe l’assessore Dallapiccola. Ma ci sono anche la piccola grande bellezza di una discesa da Campo Carlomagno verso Dimaro, o di un angolo appartato e ignoto della Vallarsa. Gigi sa camminare, e sa scrivere, anche perché è giornalista di buone letture. Saltano fuori - oltre alla Divina Commedia - «Un salto nel buio» di Mario Bonfantini, giù dal treno per sfuggire ad Auschwitz, e «Campo di sangue» di Eraldo Affinati, cammino appunto verso Auschwitz. Ci confessa anche di sentirsi miracolato, oltre che dal compianto collega Franco Battisti, anche da San Giorgio, quando rischiò di annegare nel mare di Rodi. Lontano dalla fermata di Port’Aquila, per salire all’Adige dove talvolta lo si incrociava, seduto ad aspettare il 10. Non aveva ancora avuto la svolta camminista. Più Gorfer che Kerouac, okkèi: «...dalle rocce del Brenta, altissime come bastioni giganteschi, scendevano ruscelli e cascatelle...». Ma estraete questa pepita, ops, questa riga di p.206: «La birra è birra, io però dovevo arrivare a Dimaro entro sera». E questo è puro, purissimo Jack-Zops trentin-western-hobo. Hit the road, Gigi.

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